Fabbriche di storie. Percorsi interculturali alle Gallerie degli Uffizi

di Silvia Barlacchi e Maria Spanò, Galleria degli Uffizi, Dipartimento mediazione culturale e accessibilità

Fabbriche di Storie. Percorsi narrati alle Gallerie degli Uffizi” è rientrato nell’Agenda italiana degli eventi dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 per le sue finalità di inclusione e accessibilità. Il progetto è stato ideato e sviluppato dal Dipartimento di Mediazione culturale e Accessibilità delle Gallerie degli Uffizi

la fondamentale collaborazione di due esperte di progettazione interculturale all’interno dei musei: Maria Grazia Panigada, direttrice del Teatro Donizetti e del Teatro sociale di Bergamo, esperta di narrazione e Simona Bodo, ricercatrice e consulente per la progettazione interculturale nei musei, e collaboratrice della Fondazione ISMU di Milano.

Il Dipartimento è un’articolazione dei nuovi servizi educativi delle Gallerie così come sono stati pensati dal Direttore Eike Schmidt in seguito alla riforma, che ha portato alla nascita del museo autonomo Gallerie degli Uffizi. L’obiettivo è quello di sviluppare progetti per i cosiddetti nuovi pubblici (nuovi cittadini, immigrati ecc.) ed anche per quella fascia di potenziali visitatori, non-pubblico o pubblico di prossimità (come disagio sociale ed economico, disabili ecc.) che hanno difficoltà ad avvicinarsi al museo per vari motivi.

Siamo lieti di presentare Fabbriche di Storie nella duplice veste di servizi educativi e narratrici, in quanto siamo state coinvolte in prima persona.
Per introdurre il nostro intervento, in cui verranno mostrati molteplici aspetti di questa esperienza, abbiamo pensato, di proporvi un estratto da una delle narrazioni. Ascoltiamo dunque Samira, uno dei nostri narratori, con l’Allegoria Sacra di Giovanni Bellini (letta da Micaela Casalboni della Compagnia Teatro dell’Argine di Bologna).
Ascolto della traccia:

“C’è silenzio. Chiudo gli occhi, sono disorientata e confusa, trascino i piedi su una superficie solida, liscia e molto fredda […] un pavimento di marmo pregiato mi riporta in un passato molto lontano, quando ero bambina, il pavimento di casa mia mi fa sentire una forte nostalgia.
Alzo gli occhi e non sono sola: intorno a me vedo generazioni diverse. Donne, bambini, uomini giovani e anziani, popolano una grande terrazza affacciata su un lago. Sembra un incontro, ma non lo è. Ci sono preghiere, ma le persone non si guardano. […]
La terrazza è recintata, ma con un varco aperto per scendere al lago. Anche la porta di casa mia era sempre aperta a tutti, mio padre era una persona generosa e accogliente, diceva che nessuno doveva bussare e chiedere, ma chi aveva bisogno doveva sentirsi accolto, ascoltato, compreso. […]
L’Allegoria Sacra, di Giovanni Bellini, è una delle opere più misteriose della storia dell’arte.
È un dipinto anomalo in sé: nell’epoca in cui fu realizzato, a fine Quattrocento, le allegorie profane erano molto diffuse, mentre non ne esisteva nessuna di argomento sacro. Come la vita di ogni singola persona, quest’opera è unica, senza paragoni. […]
Siamo in un tempo imprecisato, “sospeso”. Chi siano questi misteriosi personaggi, è impossibile dirlo con certezza. Da più di cento anni, studiosi e storici dell’arte si sono arrovellati nel tentativo di dare un’interpretazione plausibile a un dipinto che, nelle intenzioni del committente, doveva essere comprensibile solo a una ristretta cerchia di persone colte e raffinate, e che di fatto rimane un mistero. […]
Non c’è nulla di esotico, nello scenario che Giovanni dipinge al di là del lago. Se c’è un luogo estraneo, “diverso”, è proprio la terrazza. Ma è qui che si gioca il passaggio dalla non comunicazione alla comunicazione. […] Anch’io non comunicavo, però mi portavo dentro una forza: l’incontro con mio marito. Ci siamo conosciuti per corrispondenza […] Aveva capito che ero berbera come lui, perché abitavo in una piccola città vicino ad Agadir. […]
Il nostro è stato un viaggio fatto di tanti sacrifici, lavoro, con lui sono cresciuta.
Non ho mai smesso di studiare, di “chiedere conoscenza” come si dice in arabo. Lo studente è “colui che chiede”. Strada facendo, ho riscoperto qualcosa che mio padre mi aveva insegnato: l’importanza di tenere la porta aperta. È così che sono diventata mediatrice. Facilitare l’incontro, la relazione, la comprensione, lo scambio, è diventato la mia professione. […]
Sullo sfondo ci sono le montagne: quelle che spesso, la notte, mi capita di sognare. Sogno di scalare alture impervie, nelle condizioni più avverse. Che è un po’ come la vita. Ma alla fine riesco sempre ad arrivare a destinazione. E quando arrivo in cima, capisco di avercela fatta.”

Il brano che abbiamo appena ascoltato è una parte, un montaggio, del racconto ben più articolato scritto da Samira, è una delle dodici narrazioni che sono state realizzate nell’ambito di Fabbriche di storie e farà parte del percorso degli Uffizi che si inaugurerà fra gennaio e febbraio del 2019.

Immagine 1 Nove narratori provenienti da: Cina, Benin, Egitto, Iran, Italia, Marocco, Perù e 4 operatori museali delle gallerie
Immagine 2 Operatore museale della galleria e narratore

Il fondamento teorico alla base di un lavoro come questo è il medesimo che anima la missione del nostro Dipartimento e, secondo noi, anche quella del museo. La società di oggi pone, infatti, nuove sfide.

L’obiettivo è far diventare il museo un luogo di interazione al di là delle differenze, una fruizione che non è solo apprendimento didattico, ma che può divenire un dialogo fra il patrimonio culturale e il pubblico attraverso temi ed emozioni universali superando così le barriere ideologiche e gli stereotipi. Ognuno può trovare una parte di sé, riconoscersi in un’opera d’arte, anche se apparentemente lontana nel tempo e proprio attraverso emozioni universali e condivisi, essere in grado di creare legami con il presente, costruire un ponte fra le culture.

La nostra sfida è trasformare il museo in un luogo d’incontro, in uno spazio di scambi e conoscenza reciproca tra popoli.” (Eike Schmidt Direttore delle Gallerie degli Uffizi)
“Essendo ospitali, inclusivi e rispettosi, i musei promuovono la consapevolezza di una comunità universale nonché la convinzione che ciò che unisce le persone sia più importante di ciò che le divide. (…) i musei come luoghi di emancipazione e sedi di cittadinanza, dove il racconto interculturale rivela affinità insospettate”

Abbia voluto inserire una dichiarazione del nostro Direttore insieme ad un estratto del documento conclusivo di un convegno internazionale sulla museologia e i valori del museo oggi che si è svolto una settimana fa per sottolineare come l’esigenza di avere un museo che sia anche luogo di scambio e dialogo interculturale sia sempre più sentita e attuale.
Per essere definito interculturale un progetto deve avere alla base alcuni principi che sono importanti per la costruzione dei contenuti universali.

“Ciò che rende «interculturale» un progetto educativo in un museo NON è la trasmissione di nozioni, il confronto astratto tra «culture diverse»”
È l’universalità, infatti, che permette un dialogo interculturale autentico, che fa superare i particolarismi e permette una comprensione reciproca profonda:
Un progetto è interculturale quando promuove:

  •  l’ascolto di sé e degli altri: L’ascolto è alla base della costruzione del racconto, è importante creare un gruppo di lavoro in cui ci sia la predisposizione all’ascolto senza giudizio;
  • l’apprendimento reciproco: ognuno ha la sua storia, disponibilità ad imparare dall’altro;
  • lo scambio dei punti di vista e delle storie;
  • la messa in gioco del proprio vissuto e delle proprie emozioni: fondamentale mettersi in gioco per la creazione di narrazioni che trasmettono contenuti e emozioni;
  • il superamento del proprio egocentrismo (personale e culturale); non è un confronto fra culture o storie personali;
  • lo sviluppo di diverse chiavi di lettura della realtà che ci circonda: le cose possono avere più interpretazioni;
  • il riconoscimento delle identità molteplici di cui ognuno di noi è portatore.

La progettazione interculturale richiede un’ampia pianificazione, che comporta una fase di preparazione volta ad acquisire nuove conoscenze e competenze nell’ambito delle strategie dell’audience development e della comunicazione.

Il nostro Dipartimento ha condotto uno studio su due fronti: da una parte conoscere a chi ci si rivolge; attraverso un’indagine di tipo qualitativo dei residenti stranieri presenti a Firenze (sono stati fatti del focus group non un censimento). Abbiamo cominciato ad intrecciare una relazione con gli stakeholder del territorio – associazioni culturali e di comunità – e conoscere il loro rapporto con il museo.

Dall’altra parte ci siamo documentati sui progetti interculturali di altre istituzioni museali. Le esperienze precedenti sono state importanti, fra quelle più significative: Brera un’altra storia, Raccontami Brera In cui i narratori erano stati formati come mediatori museali.

È stato un percorso di avvicinamento lungo e impegnativo ma necessario per riuscire a comprendere quale tipo di progetto potesse essere migliore per il nostro museo.
Non è possibile infatti, pensare di replicare le esperienze precedenti anche se interessanti e coinvolgenti senza un pensiero critico. Infine, il progetto che ne scaturisce è pensato per tutti e non è diretto solo alle comunità di provenienza dei narratori e questo è un altro aspetto fondamentale.

Sguardi dal mondo è stato presentato a dicembre 2017, segna la conclusione di questa prima fase del lavoro di ricerca e studio. Il contributo offerto dalla Fondazione Cassa di Risparmio con il progetto Valore Museo, per lo studio dei nuovi pubblici, è stato molto importante, ci ha fornito le competenze e gli strumenti necessari per poter organizzare la ricerca per avvicinarci a questo pubblico.

Certamente, ha rappresentato un primo approccio ai temi dell’Intercultura, multicultura e per i 14 partecipanti, originari di 14 paesi (di tutto il mondo) è stato un primo avvicinamento agli Uffizi che erano visti come elitari e distanti ed ha coinvolto le associazioni culturali e di comunità degli stranieri residenti a Firenze (i nostri stakeholder).

Gli Uffizi, si sono aperti, hanno lasciato che altri interpretassero il proprio patrimonio culturale, un’esperienza gratificante per chi ci ha partecipato: un vero riconoscimento della presenza all’interno della società civile. Il risultato di questo esperimento (quasi una sfida) è stato pubblicato sul sito, nella sezione Ipervisioni, perché fosse disponibile al pubblico internazionale, grazie alla realizzazione di schede in tre lingue: italiano, inglese e la lingua madre. Si veda: www.uffizi.it/mostre-virtuali/sguardi-dal-mondo

Fabbriche di Storie” è partito subito dopo potendo avvalersi del lavoro svolto con le associazioni e della relazione di fiducia che si era creata con le associazione che avevano partecipato. Non è stato difficile trovare le persone che volentieri hanno aderito perché tutti sentivano il bisogno di raccontarsi e di poter essere in qualche modo protagonista di questo progetto di mediazione.
Il titolo del progetto trae espirazione dalla “fabbrica vasariana” così fu chiamato il cantiere degli Uffizi, ma accanto vogliamo ricordare che il museo come il museo sia depositario di memorie storiche e come le opere possano essere fucina di molteplici interpretazioni, di storie da raccontare.

Sviluppare un percorso di narrazione agli Uffizi, se da una parte permette di dare maggiore risalto ai percorsi, dall’altra invece è una scommessa. Fabbriche di storie propone una fruizione che punta alla qualità più che alla quantità delle opere viste in un ambiente spesso sottoposto ad un’importante pressione antropica e ad una visione spesso bulimica.

La scelta degli Uffizi ha indubbiamente aiutato la partecipazione dei narratori anche se a volte è stato un po’ di ostacolo, creando un timore quasi reverenziale davanti alla scelta delle opere. Cosa si poteva dire di più!
La selezione delle opere è stata libera, tuttavia, abbiamo chiesto ai narratori di concentrarsi su una sezione del museo in modo da rendere più facile la costruzione del percorso.

Il gruppo che si è formato è costituito da 13 persone: 9 narratori provenienti da 7 paesi (Egitto, Benin, Perù, Cina, Iran, Marocco e Italia) e 4 operatori museali, rispetto alle precedenze esperienze di narrazione nei musei questo aspetto costituisce una novità che ha permesso un maggior coinvolgimento dei partecipanti, in altre parole il museo si poneva sullo stesso piano dei partecipanti nelle varie fasi di lavoro.

Professionalità e interdisciplinarietà sono due aspetti fondamentali in questo lavoro che si basa su un forte rigore scientifico. Il progetto è fortemente caratterizzato da un intreccio di saperi e linguaggi differenti. Fra le professionalità, alcune sono state ricercate all’esterno del museo l’esperto di narrazione e di progettazione interculturale , specialisti per particolari aspetti storici artistici, altre erano già presenti all’interno (Panigada e Bodo e poi Emanuela Daffra e Alessandra Malquori), altre ancora si sono formate e arricchite nel percorso.
Altre erano già presenti all’interno, come il personale scientifico, altre ancora si sono formate e arricchite nel percorso.

Le fasi del lavoro
Il laboratorio di narrazione è stato il primo momento in cui i partecipanti si sono conosciuti e si è formato il gruppo di lavoro. Durante questi primi due giorni, si sono acquisiti gli strumenti della narrazione: come si costruisce un racconto partendo da un oggetto d’affezione o da un ricordo.
Successivamente, il gruppo è stato guidato in galleria per la scelta delle opere; la visita guidata aveva il solo scopo di fornire una prima informazione del museo e del patrimonio custodito. In seguito sono stati distribuiti materiali di approfondimento riguardanti le opere selezionate.

Dopo la scelta dell’opera su cui si incentrava l’interesse del narratore, si è passati alla costruzione delle narrazioni che si è svolta direttamente in Galleria, davanti ai quadri (passando dall’intuizione alle prime tracce del racconto). A volte ci siamo trovati anche a museo chiuso, nel silenzio delle sale, altre volte immersi nella folla che quotidianamente sosta davanti alle opere. Seduti su piccoli sgabelli, siamo riusciti a ricreare uno spazio di ascolto e di dialogo sugli aspetti che più suscitavano emozione ed interesse.

Una volta individuato il fuoco del racconto, ogni narratore ha sviluppato una prima stesura, molto spesso in forma di appunti e frasi sparse che sono diventati una scrittura attraverso il paziente lavoro di rielaborazione con le curatrici del progetto.
La narrazione in chiave autobiografica rappresenta una proposta di lettura dell’opera, una chiave di accesso dal significato universale, ma dev’essere sottoposta ad un’attenta verifica scientifica dei contenuti storico artistici del quadro che è stata chiesta agli storici dell’arte delle Gallerie.

Attualmente, sono state scritte dodici narrazioni, molto intense, ognuno rappresentativo di un sentimento, un’emozione o un tema specifico anche dal contenuto sociale e culturale. Le tracce saranno registrate a breve per far parte di un percorso audio permanente, fruibile anche da casa, che accompagnerà il visitatore alla scoperta di un museo diverso, emozionante e coinvolgente: da scoprire.

Immagine 3 Sacra famiglia, Luca Signorelli, 1490 ca. Firenze – Galleria degli Uffizi

Per concludere vi presentiamo, altri due esempi di narrazione, la prima realizzata da Magdy, egiziano che ha lavorato sulla Sacra famiglia di Luca Signorelli. Magdy si concentra sulla figura di Giuseppe, il padre che protegge la famiglia e la sostiene.

 

“Tutto ruota intorno al figlio. Giuseppe sembra appena arrivato. […] le braccia conserte in segno di rispetto, l’espressione del viso così saggia e consapevole dei propri limiti. […] come a proteggerlo. La sua figura si piega per adeguarsi alla forma del tondo. Occupa lo spazio che gli è stato lasciato, consapevole del ruolo che gli è concesso.”

 

 

 

Immagine 4 Sandro Botticelli, Annunciazione di Cestello, 1489 ca. Firenze – Galleria degli Uffizi

La narrazione di Fabiana, invece, uno degli operatori museali che ha partecipato al progetto, individua la chiave di accesso per la sua lettura dell’Annunciazione di Cestello di Sandro Botticelli, nelle mani dei due protagonisti del quadro, soprattutto di Maria, che la portano ad una riflessione sull’attesa. “Una mano dice “aspetta […] l’altra è all’altezza del cuore. Per accogliere una notizia ci vuole tempo, è il tempo che ci dà la capacità di assorbire le emozioni, di comprenderle.”

 

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