INNOVAZIONE E MUSEI: I DIRETTORI A CONFRONTO TRA EDUCAZIONE E ACCESSIBILITA’
In collaborazione con MIBAC – Direzione Generale Musei MiBAC
Una riflessione multi-disciplinare che si è sviluppata in focus successivi, coinvolgendo i partecipanti in una serie di talk sul determinante contributo che i Musei possono dare al raggiungimento della sostenibilità sociale, attraverso soluzioni e strumenti innovativi tra cultura ed educazione.
Sessione pomeridiana | 15.00-17.30
Il convegno, presieduto da Antonio Lampis, Direttore Generale Musei MiBAC, si è articolato in una serie di mini talk che hanno visto confrontarsi i Direttori dei Musei Statali per l’intera giornata del venerdì.
I “CULTURAL’S TALK” sono stati coordinati, nella sessione del pomeriggio, da Alessandra Gobbi, Direzione Generale Musei Ministero per i Beni e le Attività Culturali, affiancata da Massimiliano Zane, Progettista Culturale Museum & Cultural Management
1° Talk del pomeriggio: Educare all’immagine
Eva degl’Innocenti, Direttore Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Alessandro Luigini, Facoltà di Scienze della Formazione Libera Università di Bolzano. Hanno risposto alle seguenti domande:
Domanda 1. Oggi il patrimonio culturale include ciò che prima era indicato distintamente come “cultura”, definizione eventualmente poi declinata nelle infinite specificità: linguistica, gastronomica, locale, musicale… ovvero riguarda non solo la produzione “elevata” dell’intelletto umano (arte, scienza, letteratura…), bensì l’insieme delle pratiche, dei saperi e delle consuetudini, di ogni gruppo umano sociale o comunità; particolarmente in rapporto con un territorio. Così accade che come ad uno specchio, la percezione comune e l’essenza stessa delle idee di “cultura” e “patrimonio” siano fluide ed in evoluzione e che questa evoluzione tocchi di rimando anche i luoghi di cultura in generale e particolarmente i musei costretti a rivedere i propri confini, i propri indirizzi operativi, ma soprattutto le proprie attitudini di “ponte culturale”, elemento di connessione e trasmissione del sapere.
Veri e propri apparati “produttori di cultura”, dunque, i Luoghi della Cultura del XXI sec. che sempre più emergono dal dibattito comune non solo attrazioni turistiche ma centri d’educazione empatica e visiva, di esperienze emotive in cui soggetti, oggetti e narrazioni divengono “fattori evolutivi”, di creazione e formazione. “Ma chi vive quotidianamente questa evoluzione in maniera diretta, la interpreta e se ne fa carico, in che modo vi si rapporta? Musei e patrimonio oggi sono o possono divenire attivamente nuovi vettori di una nuova “formatività sociale”? E Come?”
Domanda 2. In questa cornice, se è vero com’è vero che la scuola, da tempo, si è indirizzata verso percorsi cognitivi più “semplificati”, è vero anche che la valorizzazione e la trasmissione dei beni storici, artistici e culturali, di cui i musei sono sempre più protagonisti attivi, è essa stessa divenuta sempre più una “azione culturale estesa”. Educare all’immagine è una “visione forte”, che ci spinge oltre la didattica museale, verso la pedagogia del patrimonio rinnovata, che guarda alla creazione ed allo sviluppo di un nuovo “ecosistema culturale allargato”, che ridefinisce il ruolo del museo come “nuova” istituzione educativa parallela (se non gemella) della scuola. Una cornice culturale che apre nuove prospettive interpretative e comunicative, di contatto e relazione, che offre nuove opportunità ma anche nuove e gravose responsabilità. “È una chiave di lettura corretta per una diffusione culturale contemporanea? Quali sono i punti di forza da implementare e le criticità da limare di tale prospettiva?”
Domanda 3. Musei, gallerie, biblioteche e altre istituzioni culturali offrono notevoli opportunità anche per l’apprendimento informale degli adulti, divenendo oggi alcuni tra gli ambienti e vettori più importanti per l’apprendimento ed il contatto intergenerazionale. Inoltre, ogni luogo di cultura può divenire “ponte culturale” ed essere un potente strumento per l’inclusione sociale di immigrati, minoranze e altri gruppi sociali oggi giorno particolarmente vulnerabili. “In un momento di profonda revisione dell’intero comparto culturale non solo italiano, di mutamenti radicali, organizzativi e professionali, in cui ci si sta sempre più interrogando su missioni e sostenibilità – sia di senso che economica – cosa occorre affinché i nostri musei siano sempre di più istituti al servizio della società e del suo sviluppo?”
Domanda 4. Entro l’anno, a Pittsburgh, si aprirà ufficialmente una scuola all’interno di un museo. Un nuovo spazio educativo che mira ad accrescere le potenzialità educative dalla sinergia tra modelli di apprendimento differenti. Qui al museo viene riconosciuto un ruolo di mediazione educativa immersiva con una potenzialità espressiva enorme, capace di promuovere il pensiero critico, soprattutto dei più giovani; di portarli a trovare il proprio percorso di conoscenza attraverso metodi non convenzionali. Un processo di riforma che mira a valorizzare rapporti e ruoli tra museo e scuola intendendo l’accessibilità culturale come responsabilità di “trasmissione culturale”. “Un processo di riforma auspicabile ma come si sta, se si sta, sviluppando in Italia?”
Domanda 5. Al museo è ormai riconosciuto, tra gli altri, un ruolo sociale ed educativo ad ampio spettro, quale istituzione capace di integrare e contemperare istanze pedagogiche e finalità di valorizzazione. In tale quadro, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, l’importanza di un’educazione all’immagine assume un particolare rilievo. Come osservato più volte da Antonio Lampis, i nativi digitali hanno una naturale propensione a forme di organizzazione del sapere del tutto differenti da quelle delle generazioni passate, in cui la percezione visuale gioca un ruolo primario nell’elaborazione e nella catalogazione delle conoscenze. Il repertorio visivo di riferimento dei giovani è massicciamente permeato da rimandi, echi e allusioni al patrimonio culturale condiviso, tuttavia occorre domandarsi come integrare tali capacità di gestione del valore comunicativo delle immagini con l’educazione e la comprensione del significato iconografico e iconologico ad esse sotteso, che necessita di un’indispensabile attività di contestualizzazione. “Quali strategie può mettere in campo il museo per consentire la decodificazione di tali significati? Come si può accostare il pubblico alle molteplici chiavi di lettura del palinsesto semantico di cui le immagini si fanno portatrici? In che misura l’innovazione tecnologica e la riproducibilità dei beni rendono più complessa tale esigenza educativa, specialmente rivolta alle generazioni più giovani?”
Domanda 6. Le esperienze degli ultimi anni e la vocazione degli istituti museali a porsi quale espressione di una collettività diversificata, e ben radicata nel presente, mettono in luce l’esigenza di dialogo che connette i musei – spesso anche quelli archeologici –alle creazioni di artisti contemporanei o alle espressioni delle arti performative.
“In quale modo gli ambienti museali possono divenire spazi sempre più sensibili e aperti alle creazioni degli artisti contemporanei, richiamando l’attenzione sul lavoro e il significato dell’attività di chi oggi fa arte, siano questi performers digitali o artisti “low tech”, senza abdicare alla propria identità per farsi semplicemente contenitore di esposizioni parallele, talvolta prive di connessioni reciproche di significato? Quali sono, a vostro giudizio, le esperienze più riuscite in tal senso?”
2° Talk del pomeriggio: Partecipazione e accessibilità
Giovanna Barni, Presidente CoopCulture. Giovanna Damiani, Direttore Polo museale Sardegna. Marta Ragozzino, Direttore Polo museale Basilicata. Francesco Sirano, Direttore Parco Archeologico di Ercolano. Hanno risposto alle seguenti domande:
Domanda 1. Abbiamo visto come i musei, ed il comparto culturale tutto, oggi, si stia rinnovando nelle sue peculiarità essenziali di valore, di mission, di prospettive comunicative e di disseminazione, quindi anche dei principi educativi e formativi, ed in modo radicale. Una evoluzione che spinge la cultura tutta, a rivedere le proprie modalità di fruizione, contatto e diffusione, individuando strategie di “richiamo ed appaesamento culturale” sempre nuove. Parole come inclusione, coinvolgimento e partecipazione, ma anche co-curatela, co-produzione, co-creazione fanno parte ormai da tempo del vocabolario di molte istituzioni museali. In questo contesto l’accessibilità culturale, quindi non solo architettonica ma anche cognitiva, fiorisce nella sua più alta accezione di trasmissione, di dialogo, di lavoro e laboratorio collaborativo, tanto tra pubblici e musei, tra musei e musei e tra musei e comunità, assumendo un ruolo chiave nello sviluppo pro-positivo.
Oggi risulta chiaro come i temi della partecipazione culturale e del “diritto di fruizione”, sia per ciò che riguarda i servizi, i linguaggi e gli strumenti di comunicazione e mediazione culturale, siano diventati centrali tanto all’interno degli stessi istituti culturali, quanto nell’elaborazione delle policy di governance culturale. “Cosa ci possiamo aspettare da questo generale interesse da questa prospettiva di grande responsabilità, che una richiesta di maggior interazione tra i luoghi della cultura ed i propri pubblici porta con se?”
Domanda 2. In questo contesto, assistiamo ad una crescente volontà delle istituzioni culturali di colmare le distanze coi “nuovi pubblici”, talvolta in modo un po’ compulsivo. Una volontà che mira ad accrescere le opportunità di accessibilità culturale superando distanze soprattutto cognitive e mentali, ma che spesso supera la capacità di comprendere a pieno la profondità di tale distanze. Talvolta le “variazioni sul tema” per ciò che riguarda la partecipazione culturale, possono raggiungere livelli inaspettati, con ottime esternalità ed impatti. In altri casi come riporta il NYT in un recente articolo sul tema “visite al museo per le persone che non amano le visite al museo”, ritroviamo dei tentativi, o meglio, dei “casi” curiosi di Audience Development “estremo” (come lezioni di pool dance e ginnastica posturale nelle sale espositive museali). Fermo restando che l’obiettivo di ogni attività culturale è, e deve essere sempre quello di educare e ispirare il maggior numero possibile di persone. “Non c’è il rischio che questa rincorsa continua ad essere SMART, non sempre strutturata strategicamente, possa condurre gli istituti culturali a piegarsi ad interpretazioni incomplete o “scorciatoie di produzione culturale” fini a se stesse, favorendo una forse più remunerativa (in termini di ingressi) proposta attrattiva superficiale, ma non “critica” e davvero formativa? Quali possono essere, stando alla vostra esperienza, delle “buone pratiche” di equilibrio tra eccellenza culturale e nuove proposte d’interpretazione narrativa del patrimonio?”
“Ed in un complesso panorama del genere, restando in tema di fruizione ed accessibilità, non ci si sta forse dimenticando che potrebbe aprirsi nuovo fronte problematico di separazione culturale con una “sostituzione negativa” del visitatore storico?”
Domanda 3. Questa complessità necessariamente rimanda alla capacità degli istituti stessi di leggere ed interpretare non solo i bisogni ma la propria capacità di soddisfarli attraverso una profonda conoscenza della crescente diversificazione della società, anche attraverso indagini di tipo qualitativo e non più solo quantitativo, per orientare le proprie attività e finalità. “Oltre gli standard “canonici” di analisi delle proprie “performance” basate sui numeri, quali potrebbero essere degli utili elementi di valutazione d’impatto sociali “altri”? E quali gli strumenti di analisi?”
Domanda 4. Dall’UNESCO al Consiglio d’Europa fino alla Commissione Europea, si moltiplicano progetti, opportunità e richiami internazionali verso una maggior sensibilizzazione al “valore” del patrimonio sul e per il territorio, con e per le comunità, in cui si inserisce a piano l’applicazione della Convenzione di Faro, che la definisce come un processo continuo di definizione e di gestione dell’eredità culturale. In quest’ottica, per i musei ma non solo. “Cosa può comportare un coinvolgimento così strutturato delle comunità di riferimento? Come i musei posso contribuire a definire un nuovo modello di tutela votato alla valorizzazione attiva? Forse attraverso una nuova prospettiva di fruizione e gestione dei luoghi della cultura? Magari fondato su una rilettura della cooperazione tra pubblico e privato?”
Domanda 5. Tutte queste nuove “funzioni” dei musei impongono necessariamente un’evoluzione, non solo delle metodologie di gestione, ma anche di chi dovrà applicarle, quindi anche delle professioni museali che necessariamente non sono più solo quelle di 30/40anni fa, ma anche solo quelle di 10 anni fa. In questo senso, recentemente si è parlato di nuove assunzioni per dare ossigeno al sistema culturale, ma andando a leggere i dettagli delle posizioni aperte, le richieste guardano ancora una volta alle professionalità già oggi determinate dal sistema, senza tentare di superare le tradizionali barriere disciplinari. Citando Einstein: “se fai sempre le stesse cose otterrai sempre gli stessi risultati”, quindi, forse, consapevoli di tutte le difficoltà del caso, non sarebbe forse utile provare ad operare in una più ampia visione di patrimonio culturale e in un approccio maggiormente interdisciplinare, provando anche ad inserire nuovi elementi professionali in affiancamento a quelli strutturati?”
Domanda 6. Nella costruzione e nella presentazione di contenuti culturali, il museo è chiamato sempre più a pensarsi come espressione di una collettività, ovvero quale opera collettiva che le comunità di riferimento alimentano e con cui si relazionano. In quest’ottica, in cui il pubblico – o meglio i pubblici- non sono più soltanto destinatari ma parte attiva del processo di produzione culturale,“con quali strumenti e in che forma il museo può accogliere e integrare nella propria narrazione queste espressioni di partecipazione attiva e di creazione collaborativa di nuovi significati? Quali spazi prevedete per consentire alle comunità e ai gruppi di riferimento di apportare il proprio personale contributo alla narrazione di una storia che è condivisa e, in quanto tale, può e deve essere partecipativa?”