La Cultura come driver di cambiamento

di Alessandra Vittorini, Direttore della Scuola Fondazione Beni culturali

(da LuBeC 2020)

Dal titolo dell’appuntamento metterei a fuoco una parola di partenza, ovvero il cambiamento. Ci sono una serie di cambiamenti di visione, di strategia e di scenari che investono il patrimonio culturale da una ventina di anni, ma che negli ultimi anni hanno subito delle accelerazioni. Da almeno 10 anni, da quando sono entrati i temi della digitalizzazione, ci troviamo di fronte ad un cambiamento che è un reset di tutto ciò che riguarda il mondo della cultura.

Si tratta di un cambiamento che ci ha invitato a misurarci con nuovi strumenti e tecnologie e che ha due canali: il primo relativo ai luoghi dove questo cambiamento si verifica e il secondo relativo alla gestione quotidiana di questo cambiamento, a volte questi due canali non sono allineati. Un tema è la pianificazione di questi due canali disallineati e questo tema chiama chi si deve misurare con la gestione quotidiana. L’Agenda Europea per la Cultura ha messo al centro alcuni temi, tra questi la cultura come forza rigenerativa per la trasformazione delle comunità, la partecipazione culturale come motore per migliorare il benessere ed elemento di coesione delle comunità. Questo ci indica come sicuramente la cultura nutra le persone. L’Agenda sottolinea inoltre la necessità dell’accessibilità culturale e l’importanza della circolazione delle conoscenze. Al centro di tutto questo esiste un ingrediente fondamentale, ovvero le persone come attori e protagonisti, destinatari di questi processi. Nel programma Next Generation EU uno dei primi posti è riservato ad Education and Skills, quindi al centro ci sono le persone, che devono diventare protagoniste del cambiamento. In questo scenario si colloca la Scuola nel dare importanza alla formazione dei soggetti che operano nel settore: servono formazioni specialistiche di carattere verticale per coltivare quelle competenze trasversali che le persone devono acquisire per affrontare la complessità.

La Scuola lavora su questo tipo di formazione, ha lavorato sui filoni della formazione, della ricerca e dell’internazionalizzazione.  C’è la formazione avanzata per i professionisti della cultura che lavora sull’integrazione delle competenze, c’è la formazione interna rivolta al Ministero. Non c’è formazione interna ed una esterna, ma l’obiettivo di cercare un linguaggio comune tra i soggetti che lavorano al Ministero e il resto, il più ampio ambienti del mondo culturale, in una logica di connessione, di costruzione di scambi, reti e costruzione reciproca. Abbiamo creato una piattaforma di formazione con ad oggi 8.000 iscritti, c’è una potenzialità notevole. Ci sono progetti di ricerca e di innovazione. La ricerca che verrà presentata domani sulle reazioni del sistema museale al Covid evidenzia delle criticità che mettono al centro la persona come figura di intermediazione, interscambio tra gestione interna e pubblico. Il lavoro sulle persone dunque ci vedrà impegnati in particolare con la sfida recente in cui la Scuola è chiamata alla formazione di Dirigenti nel quadro assunzionale ministeriale di personale dirigente e tecnico, in una logica di rinnovamento. Questo sguardo di natura interdisciplinare serve perché questa classe di lavoratori del Ministero sia da traino per l’attuazione del programma Next Generation EU, dunque a fronte di questi scenari le energie devono essere innovative. Questo è lo scenario sul quale la Scuola vuole lavorare. La parola Recovery fino a 6 mesi veniva usata relativamente al Restauro, adesso viene associata al concetto di Ripresa, un cambio di paradigma importante: se da una parte il patrimonio culturale ha bisogno di energie come settore in sofferenza, sicuramente adesso può essere una buona medicina per molti altri settori.