La doppia sfida delle imprese che fanno cultura

Intervento di Giuliano Gasparotti, CEO Idea Faktory srl, Coordinatore Kifitalia.it, nell’ambito di LuBeC 2019

Sono 2.371 i Comuni, in Italia, che ospitano almeno un museo, dati Istat alla mano, e ci sono città come Roma o Firenze ad averne quasi 200 con un primato tutto toscano di 528, il 29% del totale. Un patrimonio diffuso che è parte essenziale di un’industria che pesa in termini economici 95,8 miliardi di euro, in crescita del 2,9%, e che grazie ad un effetto moltiplicatore dell’1,8% rispetto ad altri comparti connessi quali quello manifatturiero e turistico, porta a 265,4 mld di euro la ricchezza prodotta: il 16,9% del Pil. I dati di “Io sono cultura” della Fondazione Symbola dimostrano come la cultura sia motore di crescita economica. Un assunto che pone una duplice sfida: la conservazione da un lato e l’investimento in capitale creativo dall’altro con tutte le implicazioni derivanti dai temi dell’innovazione, della formazione e della internazionalizzazione.

Una strada ancora lunga da percorrere quella della valorizzazione con un ritardo forte rispetto all’Europa. Basti pensare che solo il 30% dei musei offre almeno un servizio digitale on site ed on line; una percentuale che scende all’11% tra le strutture che ne offrono almeno due. Non mancano gli esempi virtuosi di chi ha compreso che utilizzare le tecnologie più evolute contribuisce a radicare la partecipazione, ad innalzare i livelli culturali medi, a diversificare e qualificare l’utenza, portando più visitatori e ricchezza.

Tuttavia proprio questi dati evidenziano i limiti e le contraddizioni che la parola “cultura” porta con sé. Una questione di competitività dei territori e dei centri urbani, in particolare, protagonisti di un cambiamento profondo dell’economia e della società. Mercato, cifre, fatturati e profitti non escludono, infatti, una responsabilità sociale di chi fa impresa culturale e le cui attività ricadono sul benessere di tutti. Creare un ecosistema urbano competitivo significa investire su luoghi che attraggano capitali umani e finanziari e, quindi, creino ricchezza. Una forbice, dunque, che si allarga sempre di più tra città che sanno adeguarsi a linguaggi e strumenti contemporanei e città che non riescono a guardare oltre la mera conservazione dell’esistente. Un gap che può essere un’opportunità soprattutto per il Mezzogiorno.

Per questo è centrale il ruolo dell’impresa, con tutte le esigenze che questa ha: dall’abbattimento di una burocrazia vincolistica paralizzante, passando per l’abolizione di sacche di privilegio che escludono i progetti meritevoli per far sopravvivere “carrozzoni” mangia-risorse, fino all’abbattimento del carico fiscale per chi investe e crea lavoro.Le responsabilità politiche sono evidenti perché si cerca – inutilmente –  di rallentare cambiamenti inevitabili, soffocando opportunità evidenti. A Lucca Beni Culturali, LuBeC, si cerca di discutere proprio di questo: portare agli occhi del mondo quel Made in Italy che è tra i marchi più conosciuti con un progetto che avrà senso solo se non sarà semplice “vetrina”, ma laboratorio di idee a confronto tra le migliori eccellenze nazionali. Possibilmente le più giovani, le più competenti, le più innovative. Così si fa grande un Paese e così si connettono le menti per creare il futuro.

 

“Se fossimo ciò che siamo capaci di fare, rimarremmo letteralmente sbalorditi” scriveva Edison.