I musei su Tik Tok per democratizzare l’arte

di Ilde Forgione, Social Media Manager di Le Gallerie degli Uffizi

(da LuBeC 2021)

È ormai palese che social network svolgono un ruolo chiave nella nostra società perché consentono agli utenti di informarsi, di comunicare e di interagire sui contenuti digitali creati. Questa trasformazione ha inciso profondamente anche sulla relazione fra individuo e Istituzioni, agendo da megafono per le politiche pubbliche e creando così coinvolgimento ed empatia verso l’attività dei soggetti pubblici (public engagement), poiché la condivisione dei contenuti viene moltiplicata attraverso l’interazione e i contributi degli utenti stessi.

La società dei social network ha portato alla necessità di ripensare e rimodellare i contenuti ai nuovi mezzi, anche in campo culturale. La pandemia da Covid-19 ha poi dato una ulteriore spinta in questo senso, a seguito della chiusura per lunghi periodi degli enti culturali poiché la necessità di trovare nuovi spazi di comunicazione per portare avanti la missione culturale ed avvicinare le persone all’arte, in attesa della possibilità di tornare a visitare di nuovo i musei, ha condotto ovunque ad un aumento e alla differenziazione dell’offerta di contenuti culturali online.

Il coinvolgimento di un pubblico nuovo e più ampio può derivare dalla combinazione di diversi canali e registri comunicativi, ognuno pensato per un target specifico di persone, con una sorta di “marketing culturale”. La comunicazione dell’arte tramite i social network ha anche lo scopo di rendere i musei più accessibili e comprensibili a chi non ha una cultura e una conoscenza di base. Rendere la cultura più popolare e vicina alle persone normali costituisce un fine prioritario per i musei, con una spinta verso la democratizzazione della cultura, rispondente alle previsioni dell’art. 9 della nostra Costituzione. Questo è uno dei motivi per cui anche la cultura può vivere su Tiktok, il social network della Generazione Z (i nati dopo il 1996), pensato per realizzare brevissimi video, con contenuti creativi e ironici, ma anche educativi.

Tiktok è un luogo virtuale di sicuro interesse per un museo, perché permette di avvicinare e creare un rapporto di credibilità e fiducia con quelli che saranno i cittadini, prima ancora che i visitatori, del futuro. Il contatto tra il mondo dell’arte e quello dei ragazzi qui deve necessariamente passare dall’adozione del linguaggio proprio di quella generazione e dalla ridefinizione della narrazione di temi complessi con modalità che vengono riconosciute come proprie dai fruitori della piattaforma.

Si tratta quindi di portare l’arte su uno strumento che la Generazione Z tiene perennemente tra le mani, con un approccio ironico e leggero che serva a stimolare con una spinta gentile la curiosità verso l’arte di chi, da solo, non si avvicinerebbe alla cultura “alta”. La strategia social, in particolare su Tiktok deve stimolare la curiosità personale in direzione dell’approfondimento, lasciando poi che ognuno faccia il passo ulteriore verso la scoperta del museo, se lo vorrà. La possibilità di creare un dialogo e un rapporto di fiducia duraturo può avvenire solo una volta attirata l’attenzione del pubblico di interesse il quale, per la maggior parte, riceve informazioni esclusivamente sui social.

Con un percorso sperimentale ed un attento studio dei linguaggi e dei riferimenti culturali della Gen Z è possibile modellare il mezzo per veicolare contenuti culturale, con il fine ultimo di evitare meccanismi di esclusione arrogante. Certamente, trattandosi di un percorso innovativo, non può suscitare reazioni unanimi ed implica pure la consapevolezza della possibilità di sbagliare.

Allo stesso tempo però non è possibile escludere a priori le potenzialità di un social frequentato da utenti giovanissimi solo perché si muove su codici comunicativi che non conosciamo e potremmo bollare a priori come superficiali. Spetta alle Istituzioni il compito di creare punti di contatto con i cittadini e visitatori di domani, sviluppando un contesto attrattivo e utilizzando i codici giusti, perché non tutte le persone hanno da sole gli strumenti per conoscere e apprezzare l’arte.