Il Gaming come chiave di lettura delle sfide culturali del XXI secolo

di  Fabio Viola, Fondatore TuoMuseo 

(da LuBeC 2020)

Ad oggi il videogioco può assumere molteplici forme di dialogo in seno alle politiche culturali. Superata l’idea di mero passatempo ed espressione tecnologica, il più giovane tra i media offre tre primarie chiavi di ripensamento del futuro. Strumento a supporto delle istituzioni culturali  in seno alle politiche di racconto del patrimonio, allargamento e coinvolgimento dei pubblici. Ormai da anni musei, teatri, biblioteche e territori hanno sperimentato questo nuovo linguaggio contribuendo a generare un virtuoso corto circuito tra la conservazione di ciò che è stato e la creazione di ciò che sarà.

Il caso studio simbolico è “Father and Son” pubblicato dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e realizzato dal collettivo TuoMuseo. Con oltre 4.5 milioni di download ed una circuitazione mediatica ed emotiva mondiale, ha acceso i riflettori sulla necessità di parlare i tanti linguaggi della contemporaneità per rendere rilevante e memorabile il nostro passato. L’idea di portare il “museo fuori dal museo” dando potere ai pubblici  è una chiave di importante ripensamento ed allontanamento dalla auto-referenzialità che spesso attanaglia il management culturale. Nuove forme di racconto che si muovono nei tempi e spazi dei pubblici generando forme di attivazione culturale in superamento della storicizzata idea di attrazione culturale.  Non mancano una serie di criticità e nodi da risolvere, a partire dal rapporto pubblico/privato necessario in queste operazioni. Come può esserci una eredità strutturale all’interno dell’istituzione laddove sia la componente tecnologica ed, ancor di più quella, creativa sono completamente esternalizzate?  Questa domanda richiede una risposta complessa che parte dall’analisi delle risorse umane mediamente impegnate nei contesti culturali. Per governare le complessità delle culture del xxi secolo è necessaria una pluralità di figure anche in grado di immaginare ed eseguire il futuro. Questo scatto diventa possibile solo nel momento in cui la missione di una istituzione si allarga verso l’idea di hub dove sperimentare ciò che sarà ed in questo i videogiochi rappresentano uno straordinario avamposto.

Linguaggio artistico e culturale della contemporaneità. Oggi i videogiochi rappresentano una vera e propria forma d’arte, un metalinguaggio in cui convivono letteratura, musica, architettura, grafica, animazione. Una linguaggio frequentato da oltre 2.5 miliardi di persone nel mondo che partecipano e collettivizzano l’esperienza. Senza il pubblico non esisterebbe un videogioco, senza le costanti scelte non ci sarebbe progressione e senza il protagonismo emotivo e intellettuale non vi sarebbe una creazione di storie e finali alternativi. L’essere un’opera su tela digitale insospettisce ancora molti decisori pubblici, ma non dovrebbe più sembrare strano paragonare un videogioco con un ‘opera su tela o con una statua, sono espressioni della creatività umana e forme paritetiche di restituzione di visioni del mondo. Superare l’idea di un’arte basata su supporti e periodi storici a favore dei nuclei tematici significa spostare l’asse dai direttori ai pubblici. Un immaginario scaffale di biblioteca dove, intorno ad un tema come l’amore, troveremmo statue, quadri, canzoni, film e videogiochi. Un superamento della compartimentalizzazione a favore di una orizzontalità molto più vicino ai modi di pensare ed agire delle “nuove” generazioni. Recentemente anche il sistema pubblico italiano ha riconosciuto formalmente lo status culturale del videogioco mettendo in campo una serie di misure di incentivazione alla produzione come il Playable Fund o l’istituzione del tax credit video ludico.

Una lente attraverso cui guardare le nuove generazioni. Ultimo aspetto, non per importanza, è il ruolo che il medium video ludico riveste come chiave per leggere i cambiamenti sociali, tecnologici ed economici in corso nel XXI secolo. Con oltre 2.5 miliardi di videogiocatori nel mondo, di cui circa 13 in Italia, ed oltre 170 miliardi di fatturato, è lecito affacciarsi a questo immenso laboratorio antropologico per cogliere i nuovi modi di riflettere, agire, interagire tra gli appartenenti della Gen Z (post 2000) e Gen Y (1980-2000). Comprendere le profonde differenze, significa sviluppare una attitudine di progettazione basata sul coinvolgimento dei pubblici (Engagement Centered Design) che è la grande lacuna attuale delle istituzioni italiane. Una progettazione che non ha più un inizio ed una fine, una produzione che inizia a metterei in discussione la stratificata dicotomia produttore vs consumatore, una produzione che diventa processo mettendo a rischio la proprietà intellettuale. Sono sfide complesse che spesso richiedono un radicale ripensamento della gestione della matassa culturale.

Oggi il vero competitor di un museo non è un altro museo, le istituzioni culturali tutte dovrebbero iniziare a guardare a Netflix, Candy Crush, Fortnite come modelli ma soprattutto rivali nella capacità di raggiungere, coinvolgere, trasferire informazioni ed essere rilevanti e memorabili nella quotidianità di  miliardi di persone.

Siamo davvero tutti pronti ad entrare lucidamente in un’epoca connotata da una cultura di tanti per tanti?